L’importanza riservata allo sguardo femminile in questa prima edizione del Photo Vogue Festival è sottolineata dalla scelta di esporre a Palazzo Reale, negli Appartamenti del Principe, una monografica di Vanessa Beecroft che raccoglie blow-ups di rare polaroid e sculture, sintetizzando così appieno, tra rimandi e connessioni inaspettate, l’interdisciplinarietà dell’artista e del mezzo fotografico stesso.
Vanessa Beecroft, che attualmente vive e lavora a Los Angeles, è famosa per le sue performance innovative e per l’approccio non convenzionale alla creazione di immagini. Il suo lavoro, esposto a livello internazionale sin dal 1993, è spesso testimonianza provocatoria e critica sociale. La performance costituisce la scelta espressiva della Beecroft sin dagli esordi: profondamente radicata nella cultura classica, l’artista crea dei tableaux vivants spesso ispirati alla pittura e alla scultura del passato. Il suo è un atteso ritorno nella città di Milano, dove nel 2009 ha realizzato la performance VB65commissionata dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea.
All’interno della sua ricerca sull’identità femminile, Vanessa Beecroft pone al centro della propria riflessione i temi dello sguardo, del desiderio e dell’alienazione, indagando la questione del corpo delle donne attraverso le sue sofisticate performance, il disegno, la fotografia, il video e la scultura. La sua ricerca dilata il tempo e lo ricombina, sintetizzando le forme della statuaria classica con le più contemporanee visioni.
La critica cinematografica Laura Mulvey a metà degli anni ’70 ha teorizzato il male gaze, quella posizione per cui la visione di un film è sempre mediata da uno sguardo maschile con cui lo spettatore si immedesima e dal cui punto di vista trae piacere. Il male gaze ovviamente non è una prerogativa del cinema ma si può applicare all’arte in generale: il soggetto femminile è quasi sempre ritratto come oggetto del desiderio voyeuristico maschile, e le donne spettatrici devono necessariamente adeguarsi a esso, assumendo loro stesse questo punto di vista oggettificante. Beecroft, con le sue performance, così come con le immagini che rimangono a testimonianza delle stesse, compie un atto sovversivo di riappropriazione del gaze, ribaltandone il significato e ridefinendo lo sguardo femminile della donna nei confronti di un’altra donna, inserendosi così in una nuova tipologia di artiste donne, femministe contemporanee.
Laddove la maggior parte degli artisti si limitano a operare all’interno di codici già scritti, Beecroft ha inventato un nuovo linguaggio, un nuovo modo di fare arte, ampliando la percezione di cosa possa definirsi tale.
Il lavoro di Vanessa Beecroft, pur essendo informato dell’eredità del passato, riflette la società occidentale contemporanea, mostrando le contraddizioni di una società post-colonialista dei consumi ossessionata dall’esposizione mediatica. E’ proprio questa
consapevolezza sulla contemporaneità a restituire alle immagini di Beecroft il valore di icone, nel senso di sintesi perfetta di un determinato periodo storico, sociale, culturale, astrazione visiva dello stesso.
Particolarmente significative in tal senso gli ingrandimenti delle polaroid esposti negli Appartamenti del Principe, che oltre ai temi propri della ricerca dell’artista, impongono una riflessione sulla questione della fisicità - o meglio della perdita del connotato fisico, tangibile, della fotografia nell’era digitale.
L’immagine contemporanea divenuta effimera è sempre più prodotto di consumo rapido e sempre meno oggetto, sempre più trasparente, dissolta in un flusso continuo di informazione visiva su cui è difficile soffermarsi. La polaroid, al contrario, per la sua peculiare natura di unicità e irripetibilità è, forse più di qualunque altro tipo di immagine, una asserzione di fisicità, oggetto per antonomasia che, conservando l’aura originaria propria delle opere d’arte, riqualifica la relazione tra l’arte e lo spettatore. (Alessia Glaviano, Direttore Artistico Photo Vogue Festival)
Vanessa Beecroft, che attualmente vive e lavora a Los Angeles, è famosa per le sue performance innovative e per l’approccio non convenzionale alla creazione di immagini. Il suo lavoro, esposto a livello internazionale sin dal 1993, è spesso testimonianza provocatoria e critica sociale. La performance costituisce la scelta espressiva della Beecroft sin dagli esordi: profondamente radicata nella cultura classica, l’artista crea dei tableaux vivants spesso ispirati alla pittura e alla scultura del passato. Il suo è un atteso ritorno nella città di Milano, dove nel 2009 ha realizzato la performance VB65commissionata dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea.
All’interno della sua ricerca sull’identità femminile, Vanessa Beecroft pone al centro della propria riflessione i temi dello sguardo, del desiderio e dell’alienazione, indagando la questione del corpo delle donne attraverso le sue sofisticate performance, il disegno, la fotografia, il video e la scultura. La sua ricerca dilata il tempo e lo ricombina, sintetizzando le forme della statuaria classica con le più contemporanee visioni.
La critica cinematografica Laura Mulvey a metà degli anni ’70 ha teorizzato il male gaze, quella posizione per cui la visione di un film è sempre mediata da uno sguardo maschile con cui lo spettatore si immedesima e dal cui punto di vista trae piacere. Il male gaze ovviamente non è una prerogativa del cinema ma si può applicare all’arte in generale: il soggetto femminile è quasi sempre ritratto come oggetto del desiderio voyeuristico maschile, e le donne spettatrici devono necessariamente adeguarsi a esso, assumendo loro stesse questo punto di vista oggettificante. Beecroft, con le sue performance, così come con le immagini che rimangono a testimonianza delle stesse, compie un atto sovversivo di riappropriazione del gaze, ribaltandone il significato e ridefinendo lo sguardo femminile della donna nei confronti di un’altra donna, inserendosi così in una nuova tipologia di artiste donne, femministe contemporanee.
Laddove la maggior parte degli artisti si limitano a operare all’interno di codici già scritti, Beecroft ha inventato un nuovo linguaggio, un nuovo modo di fare arte, ampliando la percezione di cosa possa definirsi tale.
Il lavoro di Vanessa Beecroft, pur essendo informato dell’eredità del passato, riflette la società occidentale contemporanea, mostrando le contraddizioni di una società post-colonialista dei consumi ossessionata dall’esposizione mediatica. E’ proprio questa
consapevolezza sulla contemporaneità a restituire alle immagini di Beecroft il valore di icone, nel senso di sintesi perfetta di un determinato periodo storico, sociale, culturale, astrazione visiva dello stesso.
Particolarmente significative in tal senso gli ingrandimenti delle polaroid esposti negli Appartamenti del Principe, che oltre ai temi propri della ricerca dell’artista, impongono una riflessione sulla questione della fisicità - o meglio della perdita del connotato fisico, tangibile, della fotografia nell’era digitale.
L’immagine contemporanea divenuta effimera è sempre più prodotto di consumo rapido e sempre meno oggetto, sempre più trasparente, dissolta in un flusso continuo di informazione visiva su cui è difficile soffermarsi. La polaroid, al contrario, per la sua peculiare natura di unicità e irripetibilità è, forse più di qualunque altro tipo di immagine, una asserzione di fisicità, oggetto per antonomasia che, conservando l’aura originaria propria delle opere d’arte, riqualifica la relazione tra l’arte e lo spettatore. (Alessia Glaviano, Direttore Artistico Photo Vogue Festival)
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