Non è la destinazione a contare nel viaggio, ma il percorso: la somma di incontri, visioni, esperienze e sensazioni che disegnano il paesaggio interiore, modellandolo sull’orizzonte esteriore. Giorgio Armani usa questa metafora per ridefinire il ruolo del suo uomo nella società. Lo sottrae all’urgenza di esserci e apparire per ritrovare un’idea più vera del lusso, inteso come cultura del bello e viaggio esistenziale, non improvvisazione dell’esibire.
Un susseguirsi di silhouettes nitide, allungate e sottili popola la collezione. Sono ispirate all’inconfondibile immagine con il cappello di william burroughs, il beat fuori dai ranghi e che, transfuga a tangeri, sviluppò nuove logiche di scrittura e di pensiero, basate sul cut-up e sul mixage.
Anche il guardaroba mescola e contamina segni ed elementi, amalgamandoli in un’espressione fluida e naturale. Gli abiti hanno forme rilassate che accarezzano il corpo. Trame e motivi etnici decorano in leggerezza la superficie delle maglie, realizzate con filati pregiati che assorbono e sfumano i disegni, o sono piazzati su collo e polsi, segni decorativi che echeggiano l’autenticità di antiche culture del bacino del mediterraneo e del nord africa. I capi di montone rovesciato sembrano maglie e i capispalla intrecciano tecniche e lavorazioni.
La palette concisa e coerente ruota attorno al blu denso e profondo, nuance armaniana per definizione, antidoto assoluto contro il caos. Toni naturali e impalpabili percorrono i capi come riverberi: sono ottenuti tessendo e lavando fibre di cachemire, alpaca, vicuña con nuovi processi che rompono la superficie, rendendola viva. Come un viaggio che lascia segni, indelebili e indimenticabili.
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