sabato 17 marzo 2012

CHANEL: The Secrets of the Little Black Jacket

Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori

Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

Spudorati di Mario Giordano


Gli stipendi dei parlamentari non sono stati tagliati. I vitalizi non sono stati aboliti. Le province restano al loro posto. E il Parlamento italiano continua a essere il più costoso del mondo. Se si dovesse fare un bilancio di questi mesi di lotta alla casta, verrebbe voglia di portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento: la riduzione dei costi della politica è uno scherzo, una burla, al massimo un annuncio per l’ora dei tg. Roba buona per continuare a riempirsi la bocca, e magari il portafoglio. Il risultato infatti è sotto gli occhi di tutti: loro continuano ad avere le tasche piene. E gli italiani invece ne hanno piene le tasche.
In effetti: quando viene annunciato un aumento delle tasse, non fai in tempo a leggerlo che già lo stai pagando. Quando invece si tratta di tagliare le spese del Palazzo, si scrivono mille articoli, si leggono mille proposte, si sentono mille promesse. Poi non succede mai nulla. Anche il premier Mario Monti appena salito a Palazzo Chigi aveva promesso: «Taglieremo i privilegi». Ma, al di là di tante chiacchiere, che cosa è stato tagliato davvero?
Gli stipendi dei parlamentari non si toccano. Hanno creato una commissione (la commissione Giovannini) che ha studiato 4 mesi, poi ha elaborato alcune astruse formule algebriche e ha gettato la spugna. Le province non solo restano al loro posto, c’è qualcuno che vuole costituirne una nuova, come la provincia di Gela (la motivazione: «Si trova al centro della direttrice New York-Bombay». Ma certo, non lo sapevate? New York-Gela-Bombay: è un classico).
E i partiti? La legge sui «rimborsi elettorali » non si cambia. Nel 2010 il Pd ha speso 14 milioni e ne ha incassati 51, il Pdl ne ha spesi 20 e ne ha incassati 53. La Lega ne ha spesi 8 e ne ha incassati 22. Alla faccia dei «rimborsi»: grazie a quel meccanismo perverso (e intoccabile) i partiti sono fra i pochi in Italia a non avere problemi di soldi. Ne hanno così tanti che a volte finiscono nelle ville dei tesorieri o magari in Tanzania.
Vogliamo parlare delle pensioni? Nel dicembre 2011, subito dopo avere votato per alzare l’età pensionabile degli italiani a 66 anni, il senatore della Lega Luciano Dussin è andato in pensione a 52 anni. Pensione parlamentare, è ovvio. Sul tema del vitalizio nessuno lascia, qualcuno raddoppia: ci sono 200 superprivilegiati che di vitalizi ne prendono addirittura due, uno da ex parlamentare e uno da ex consigliere regionale. Fra di loro: l’ex leader del movimento studentesco Mario Capanna, il banchiere Giuseppe Guzzetti, Antonio Bassolino, Nicola Mancino, l’ex craxiano Paris Dell’Unto, Ortensio Zecchino, Elio Veltri
E pensare che quello delle pensioni dei parlamentari è l’unico settore in cui un risultato l’abbiamo raggiunto: ricordate l’onorevole Giuseppe Gambale andato in pensione a 42 anni? O Alfonso Pecoraro Scanio a 49? O Vittorio Sgarbi a 54? Ebbene, non è più possibile: ora i parlamentari dovranno aspettare i 60 anni. Evviva. Ma questo sarebbe il grande rigore? Lo slancio di sobrietà? Il sacrificio esemplare? Portare le pensioni dei parlamentari a 60 anni mentre si portano quelle degli italiani a 66? Ah, dimenticavo: i parlamentari sono anche passati dal più vantaggioso retributivo al contributivo. Gli italiani lo avevano fatto 17 anni fa. E, a differenza degli onorevoli, senza possibilità di presentare ricorso.
Anche le spese del Palazzo, alla faccia dei tagli, continuano a crescere. Ridurle? Non se ne parla. Mentre gli italiani arrancavano con la crisi, gli stipendi dei dipendenti di Palazzo Chigi crescevano allegramente: +15,2 per cento nel 2011. Uno stenografo del Senato può arrivare a guadagnare 259 mila euro (più del presidente della Repubblica). Nei consigli regionali ci sono ben 75 monogruppi, cioè gruppi formati da una persona sola (nel Lazio su 15 gruppi ce ne sono 8 mono, in Piemonte sono 7 su 13, nelle Marche 9 su 15). Da todos caballeros a todos presidentes: così le indennità sono più alte, con segretarie, auto blu e benefit.
Eliminare gli sprechi? Ma quando mai. La Provincia di Palermo paga 43 ore di straordinario agli spalatori di neve per il mese di luglio. Spalatori di neve? A luglio? A Palermo? In straordinario? Mah. La Regione Veneto finanzia il gemellaggio culturale con le isole Figi e il viaggio della confraternita del baccalà alla vicentina nelle isole Lofoten; la Valle d’Aosta il viaggio del diving center di Nus al lago Titicaca in Bolivia. La Provincia di Prato spende 61 mila euro per una ricerca sui pipistrelli, quella di Treviso 21.600 per studiare le anguille, la Lombardia 75 mila per osservare gli scoiattoli. Un finanziamento non si nega a nessuno, dalla Fiera della Possenta di Ceresara a Centoquaranta la banda che canta, dal concorso Crea un abito per Sant’Omobone Terme al libro La strada dell’asparago bianco di Cimaldolmo.
La tassazione ha raggiunto il livello record. In compenso si continuano a buttare i soldi dei contribuenti con generosità: nel settembre 2011 la Regione Umbria fa un contratto a tre consulenti per il monitoraggio genetico della popolazione del lupo. E il Comune di Perugia ingaggia 13 persone per leggere i numeri civici delle vie… La Sardegna ha assoldato l’esperto in zone umide, la Sicilia l’esperto in rane verdi. A Palermo e dintorni, pur avendo il record di dipendenti pubblici, sono specialisti nell’assumere consulenti stravaganti: da quello in sicilianità a quello in «rilevanza sociale dello sport», da quello in germoplasma a quello «in bande musicali e pro loco» (che farà mai? Consulenza sulla lucidatura del trombone?). E, dopo avere speso tutti questi soldi in esperti, sapete la Regione Siciliana che fa? Riduce le spese? Macché: assume un esperto per studiare come ridurre le spese…
So che a questo punto molti si chiederanno: perché scrivere (e leggere) un altro libro che fa venire il mal di fegato? Ma la risposta è semplice. Mal di fegato dopo mal di fegato, qualche piccolo risultato lo abbiamo ottenuto. Nel libro si racconta quale. Ma è ancora troppo poco. Ancora troppe persone sguazzano nei privilegi. Ancora troppe persone fingono di fare riforme solo per riderci in faccia e prendersi gioco di noi. Dobbiamo smascherarli, questi spudorati. Perché se noi smettiamo di batterci vincono loro. E non possiamo permettercelo.
(Di Mario Giordano)