Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7
della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui
dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della
predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o
giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge
stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che
in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel
quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di
quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di
imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro,
imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune
occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel
medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge
tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori
di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo
comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di
formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative
fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del
settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide
su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di
lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il
licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità
stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto
dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione
e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal
momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in
ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque
mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto
al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere
al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di
lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale
di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento
dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia
richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della
sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il
rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su
istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o
conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di
merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo
immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le
disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del
codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il
datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma
ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata
dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di
ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una
somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
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