La femme AW 15-16 sceglie l'Himalaya indiano, un luogo dove le impostazioni culturali spesso cedono il passo all'imposizione e al subordinamento.
Disobbedienza stilistica, ecco il principio motore di look in cui la donna fa propri, interpreta ed usurpa i momenti della quotidianità maschile, quali il regno off limits del barber shop che, nel rutilante contesto in cui si trova, si erge con la dignità di un gentleman club. Prende così il via un’invasione di campo di generi, in cui forme estremamente femminili sposano e si sovrappongono ad altre prepotentemente maschili, tralasciando il garbo di adeguarsi ad una silhouette più gentile. Annullato ogni passaggio intermedio, l'extremely SHE si contrappone all'extremely HE, senza vie di mezzo, senza compromessi. Quello delle identità non è più un gioco, ma l'assunzione di consapevolezza di una natura ondivaga ed aerea.
Lo yak Himalayano, fulcro polivalente e risorsa vitale dell’intera comunità, si trasforma in simbolo pop, con i suoi decori sgargianti e chiassosi, riportati trasversalmente dai capi spalla ai calzini a coste di lana. E sempre dalle atmosfere degli altipiani vengono prese in prestito le stratificazioni eterogenee di stoffe e di forme, un processo funzionale di matrice nomade che inganna con un senso di casualità, immediatamente smascherato dal quoziente estetico. Un’anarchia stilistica testimoniata dal repentino susseguirsi di volumi e dalle cinture annodate, originariamente portate sui capi di festa, ora intese come passe partout, in varie stoffe e colori, da indossare su maglie o capi spalla. Lane incrociate sulle spalle.
Lo yak Himalayano, fulcro polivalente e risorsa vitale dell’intera comunità, si trasforma in simbolo pop, con i suoi decori sgargianti e chiassosi, riportati trasversalmente dai capi spalla ai calzini a coste di lana. E sempre dalle atmosfere degli altipiani vengono prese in prestito le stratificazioni eterogenee di stoffe e di forme, un processo funzionale di matrice nomade che inganna con un senso di casualità, immediatamente smascherato dal quoziente estetico. Un’anarchia stilistica testimoniata dal repentino susseguirsi di volumi e dalle cinture annodate, originariamente portate sui capi di festa, ora intese come passe partout, in varie stoffe e colori, da indossare su maglie o capi spalla. Lane incrociate sulle spalle.
Bracciali in ferro battuto dipinti a mano e da portare, non al polso, ma sul braccio, sopra il cappotto. A sigillo del tutto, la donna Stella Jean s'incorona Maharaja con un turbante in lana, impreziosito da eccellenti ricami, e bijoux raffiguranti gli elementi della tradizione Moghul.
Capi ed elementi dalla genesi individuale che acquisiscono un senso solo nel momento della combinazione. Styling come elemento chiave nella narrazione. Capace di organizzare i capi, equiparabili a singole parole, in frasi, trasformando la collezione in racconto.
Nell’intento di valorizzare la ricchezza, le competenze e la maestria delle produzioni culturali e artigianali dei singoli popoli, prosegue la collaborazione con il programma di moda etica Ethical Fashion Initiative di ITC (agenzia dell’ONU e dell’OMC) che ha favorito l'introduzione dei tessuti fatti a telaio a mano dalle donne dei villaggi del Burkina Faso e del Mali e dei gioielli realizzati da artigiani haitiani.
Una ineccepibile crasi estetica, etica e sociale in cui dialogano, a ritmi serrati, India, Inghilterra, Italia, Burkina Faso e Haiti.
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